Un altro blog scolastico? Se ne sentiva davvero il bisogno?
Sì, lo sentivamo davvero.
«D’accordo, ma perché? Non se ne parla già abbastanza di scuola?».
C’è da intendersi subito: di scuola se ne parla fin troppo ma, come spesso accade quando si sovralimenta un dibattito attorno ad un tema, lo si rende avulso da ogni contesto nel quale, invece, è necessario (re)inserirlo; lo si sradica fino a fargli perdere contenuto; lo si ravviva con boutade e colpi di testa di questo o quel ministro, celebrità in cerca di visibilità che blatera qualcosa sul sistema scolastico e via dicendo.
Vorremmo provare a raccontare, in realtà, la scuola vera, quella che abbiamo imparato a conoscere da precarie e precari, da assistenti alla persona con contratto (esterno) a ore, da docenti che consegnano i propri giorni per un anno scolastico a cui non ne seguirà un altro.
La giostra delle supplenze si rimetterà in moto e ricomincerà anche a girare il tamburo della pistola con un solo colpo in canna.
Vorremmo provare a raccontare una scuola concreta: quella dei soldi investiti per le LIM, per i computer in ogni aula, per ogni dispositivo elettronico messo a disposizione per gli studenti. Quella che, parallelamente, per ogni dispositivo elettronico in ogni classe, ha un controsoffitto che crolla, un’infiltrazione d’acqua nei muri, topi nei bagni e nei corridoi. Quella dei “soldi a pioggia del PNRR”, quella dell’ulteriore informatizzazione e digitalizzazione con i plessi scolastici che crollano. Perché il 110% per ristrutturazioni a prezzi gonfiati, speculazioni, abusi, va pur bene, per mettere in sicurezza le scuole no. Mortificare la scuola è il primo passo per la sua informatizzazione: se qualcosa va storto c’è sempre la didattica a distanza o didattica digitale integrata (che poi sempre “a distanza” è, al netto della perifrasi).
Vorremmo provare a raccontare la nostra esperienza reale della scuola a partire dalla pandemia: abbiamo iniziato a lavorare nell’A.S. 19/20: abbiamo vissuto 6 mesi di scuola “com’era prima”, abbiamo provato sulla nostra pelle com’è stata “dopo” e com’è ora. Abbiamo sentito le farneticazioni di due ministri che ben poco hanno avuto da dire sull’istruzione se non reiterare e riproporre i soliti luoghi comuni.
Ecco, a proposito di luoghi comuni, in questo spazio vorremmo destrutturarli passo dopo passo, uno per uno, a partire dal primo, quello per cui “i docenti hanno tre mesi di vacanza in cui vengono pagati e non fanno niente“.
Sarebbe stupendo se fosse vero, a prescindere. Sarebbe anche meraviglioso se si dicessero le cose come stanno: cioè che a noi precarie e precari non ci spetta neanche un centesimo al termine del contratto e, ogni anno, in piena estate, passiamo i giorni a contattare l’INPS per far sì che ci venga attivata la disoccupazione. Che non arriva mai quando dovrebbe, che si interrompe sempre troppo presto, che arriva a tranches di 20 euro a bonifico, che viene interrotta perché hai partecipato a un consiglio di classe straordinario di un’ora negli otto giorni in cui non avresti dovuto “ri-occuparti” e allora “ciao sostegno estivo”.
Ecco, vorremmo essere luce e coraggio: per illuminare un altro lato del prisma, per raccontare quello che vediamo; per dire alle studentesse e agli studenti che devono capire quel che succede a noi dall’altra parte della barricata, così da dirlo anche alle famiglie.
Perché le famiglie, davvero, a parte rari casi, pensano che non facciamo niente e che siamo stra-pagati per 18 ore alla settimana e poi ce ne torniamo a casa a non fare niente.
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